Era una scatolina anonima, quelle di finto velluto, color rosso, che in molti punti era venuto via, soprattutto negli angoli. Dentro c’era una penna, stretta in un anello elastico che la teneva sdraiata in quel letto sfatto.
Non aveva più il cappuccio, il pennino era pieno di incrostazioni d’inchiostro, da molto tempo nessuna mano l’aveva accompagnata e fatta danzare su fogli di carta ruvidi e importanti.
Era ferma lì, sulla bancarella di un mercatino di periferia con i polmoni vuoti di quell’inchiostro che aveva già scritto tutte le parole che una volta conosceva.
E io l’avevo portata con me, acquistata insieme a un paio di libri.
Fu più tardi, a casa, che nel pulire la scatolina trovai un foglietto piegato fra l’involucro e la plastica della sagomatura per l’alloggiamento della penna stilografica.
Una scrittura d’altri tempi, senza sbavature, di persona matura.
«Al caro Armando, perché il tuo articolo pubblicato sia il primo di una serie di corrispondenze da ogni porto in cui il vento della conoscenza ti farà approdare. Il tuo papà Giuseppe, Natale 1949».
E già vedevo l’Armando navigare fra le onde ordinate delle pagine del suo quaderno, mentre trovava e provava parole e idee per raccontare e raccontarsi, per tornare a casa con la mente e vagare lontano con gli occhi.
Chissà quante volte il suo nome era stato riconosciuto dal pennino che si lasciava accarezzare alla fine di ogni articolo, di ogni contratto, di ogni documento…
L’Aurora dell’Armando l’aveva accompagnato nel suo più grande viaggio. E mi sembrava di vedere anche gli occhi lucidi di papà Giuseppe leggere nel giornale della sera il mondo interiore di suo figlio, partito per terre lontane inseguendo sogni.
“L’Aurora di Armando
navigava tra onde ordinate
nelle pagine del suo quaderno,
un viaggio dentro al viaggio”
Scritto da Antonio Galuzzi
—————————